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domenica 6 settembre 2015

Locanda di Orta, Orta San Giulio

Ammaliati da una recensione entusiasta sulla nostra guida dei ristoranti, ci siamo preparati a una seratona nel caratteristico centro di Orta, frequentato, come tutte le località di lago in Italia, da turisti in maggioranza stranieri, visto che gli italiani sono tutti in spiaggia a curare la tintarella e poi si sa che i ciottoli delle viuzze mal si associano ai tacchi alti obbligatori per la passeggiata serale.
La Locanda di Orta ha un "wine bar" al piano terreno e il vero e proprio ristorante al primo piano, oltre ad alcune camere e a un "bistrot" che non ho ben capito dove si trovi. Accidentalmente ci aggiudichiamo il tavolo sul balconcino affacciato sulla piazzetta di via Olina, mentre all'interno rimangono non più di una ventina di coperti.
La visita ci ha lasciato un po' di amaro in bocca, perché (visti i prezzi, soprattutto) alla Locanda di Orta è mancato quel piccolo non so che per potersi veramente dire un locale di classe e di alta cucina. Mi fanno sorridere quei siti di recensioni dove si mettono nello stesso mazzo pizzerie e sushi, trattorie e ristoranti di lusso, assegnando stelline o pallini come se fossero il giudizio definitivo e democratico che tutto contiene: ovviamente, invece, la soddisfazione del cliente dipende dalle aspettative del cliente stesso e dalle "pretese" del locale. Di pretese, la Locanda di Orta ne ha un bel po', purtroppo spesso disattese.
Siamo stati fatti accomodare dalla maitre/sommelier/cassiera (che non si è più vista dopo aver raccolto le ordinazioni del cibo) e serviti da un ragazzo giovanissimo e volenteroso che ci ha descritto per filo e per segno tutti i piatti. Messa in tavola impeccabile. Prima degli antipasti ci è stata servita una serie di amuse bouche stuzzicanti e molto buoni, per poi passare alle nostre ordinazioni: "compressione di calamaro" dove per 20 Euro il malcapitato cefalopode viene sottoposto a ignoti trattamenti dissociativi che lo trasformano in una specie di patè, buono; "crudo di fassone con caviale e salsa di ostriche" dove per 35 (trentacinque) Euro si assapora l'originale e gustoso accostamento su cinque o sei minuscoli assaggi di fassone. Primi: "fagottini" e "gnocchi di ricotta" a 22 Euro ciascuno, tutto molto buono ma meno che indimenticabile. Pane di panificiofamosodicuinonricordoilnome. Dolce: fetta di cheese cake a 15 Euro, come per il "lingotto pralinato", mattone di cioccolata che fa sorprendentemente a pugni con le minute porzioni e i delicati sapori dei piatti che l'hanno preceduto, rimanendo l'unico ricordo gustativo della serata. Al momento del caffè (5 Euro) non appare nessuna carta degli amari e quindi provo a chiedere prima un barolo chinato ("non ce l'abbiamo" - siamo in Piemonte, roba da scomunica) e poi una grappa ("le mando la sommelier", che non appare, per essere sostituita da un "la sommellier consiglia questa"). Bevuto il mezzo bicchierino (6 Euro) di grappa obbligata, ci avviamo alla cassa, buoni ultimi alle 21.30, dove attendiamo per un po' l'arrivo della maitre/sommellier/cassiera di cui sopra e paghiamo i nostri 178,50 Euro, purtroppo immeritati. Niente coperto, per fortuna.
Lasciando da parte le considerazioni più culinarie (porzioni minuscole, presenze "osé" come il suddetto lingotto), quando si fanno pagare certe cifre è necessaria, a mio parere, una maggiore attenzione al cliente, ad esempio assistendolo nella scelta dei vini o portando il conto al tavolo, o anche magari solo con un po' più di calore umano.

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