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domenica 5 marzo 2023

Osteria Francescana, Modena

Un ristorante di fama mondiale come l'Osteria Francescana risulta, direi per definizione, non classificabile secondo i criteri normalmente riservati ai posti dove si va a mangiare. Lasciano quindi il tempo che trovano sia le recensioni che le stelle Michelin (qui come altrove). Rimane l'esperienza, come viene definita dalle innumerevoli mail di promemoria, richiesta di conferma e conferma della conferma che riceverete dopo la fatidica prenotazione (da effettuarsi, ovviamente, con mesi di anticipo). Il menù è online. La degustazione di dodici portate (che coi vini in abbinamento vale 530 euro a persona) è un percorso artistico, culturale, attraverso la cucina italiana che forse rischia di andare sprecato quando servito a clienti stranieri che mancano dell'intima conoscenza dei piatti tradizionali per poterne apprezzare le interpretazioni, rivisitazioni, stravolgimenti architettati dal deus ex machina Massimo Bottura.

Una prima nota sull'esperienza è che qualcuno potrebbe aspettarsi -e forse anche, legittimamente, pretendere- la presenza dell'autore dietro ai fornelli. Bottura invece non si palesa. É anche vero che andiamo ad ascoltare le sinfonie di Beethoven anche se lui è morto, e c'è persino gente che paga per vedere le tribute band di cantanti che sono ancora vivi. Lasciamo a ognuno le proprie preferenze.

Più modestamente, ma allo stesso tempo con un pizzico di snobberia, noi abbiamo optato per la scelta alla carta. Chiariamo nuovamente che culinariamente parlando ha poco senso addentrarsi in un giudizio di merito - è vero, ci sono milioni di persone che, forti di migliaia di ore davanti alla TV, si ritengono in grado di disquisire dei dettagli della tecnica degli atleti olimpici, quindi perché non fare lo stesso con le Cinque stagionature del Parmigiano Reggiano in diverse consistenze e temperature? - noi ci limiteremo a brevi descrizioni. Il suddetto Parmigiano è puro esibizionismo di maestria tecnica, gioco di prestigio e divertimento da assaporare secondo le istruzioni dell'autore. 

Il Culatello di Zibello Antiche Razze 42 mesi di stagionatura accompagnato da mostarda di mele Campanine è memorabile sorprendentemente grazie alla brioche celestiale che poverina non ha meritato nemmeno una menzione nell'altisonante nome del piatto.

Sacro e profano si incontrano e si scambiano di posto nelle Tagliatelle al ragù e nel Riso grigio e nero: ostriche e caviale dove possiamo gustare la perfezione della preparazione e dell'equilibrio dei sapori.

Notiamo come i nomi apparentemente ridicoli di alcuni piatti siano in realtà nient'altro che una precisa descrizione della preparazione stessa: forse una piccola frecciatina a chi ama darsi delle arie nascondendosi dietro diciture astruse e nomi criptici. Si continua su livelli top quindi coi dolci: Non è una Tatin, non è una Sacher e à ghe anche L'amareina, appunto.

Unica nota meno che perfetta dell'intero pasto è stato il gelato -un po' troppo freddo rispetto al resto del piatto- di Oops! Mi è caduta la crostata al limone. Per dire cosa si va a notare in certe situazioni.

Come non di rado accade, però, e come recita il detto, dulcis in fundo con la piccola pasticceria servita insieme al caffè: macaroon di fegato, cannolo alla carbonara e cioccolato dall'orto di Casa Maria Luigia (la residenza dove le molte mail citate all'inizio cercheranno di convincervi a prenotare la notte post-francescana).


In particolare, applausi a scena aperta, lacrimoni e lancio di fiori sul palco per il minuscolo cioccolatino, capolavoro di microscopica architettura culinaria e sorprendente tavolozza di sapori miniaturizzati. Hurrà!


Dicevamo, quindi, l'esperienza: ribadiamo, a scanso di equivoci, che nell'opinione del sottoscritto, nulla giustifica ottanta euro di prezzo per un qualsivoglia piatto di tagliatelle in quanto tali. A fronte di tali prezzi per qualcosa che non viene mai definito un pasto e più che con la cucina ha in comune con l'arte o lo spettacolo, c'è quindi il diritto (oserei dire) dello spettatore di fare le pulci a ogni particolare.

Pur rimanendo quindi ossequiosamente inchinati di fronte alla maestria culinaria, iniziamo.

Per cominciare, risulta abbastanza antipatica la richiesta di arrivare alle 12:30 -non entro, non circa- ma alle 12:30 spaccate per "garantire il migliore svolgimento dell'esperienza" (o una dicitura del genere, ora non ricordo). Ovviamente accogliere tutti gli ospiti alla stessa ora -peraltro cortesemente "spingendoli" verso un menù fisso - facilita alquanto il lavoro della cucina; stupisce però che in un contesto del genere si ricorra a queste trovate da mensa aziendale. Gradirei avere il lusso di poter arrivare quando mi pare, nei limiti della decenza. La trovata delle 12:30 comporta inoltre la spiacevole attesa in mezzo alla strada di fronte a una porta chiusa per chi (la gran parte dei presenti) ha avuto la sventura di arrivare con qualche minuto di anticipo, oltre alla visione - non particolarmente d'alta classe - del personale della cucina che bighellona nella via adiacente in attesa dell'inizio del turno di lavoro.

All'ingresso si viene accolti da una squadra di giovani inservienti - leggevo recentemente dell'usanza di stage non retribuiti presso i ristoranti stellati - occupati nei compiti più ameni, dal prendere i cappotti al semplice indicarvi a ogni metro la strada per raggiungere il vostro tavolo. Nel caso di questo numerosissimo team il confine tra l'alta classe e il ridicolo è labile.

La location. Via Stella è una via anonima, imbruttita dalle auto posteggiate un po' ovunque come normale qua da noi. L'entrata del locale consiste di una porta anonima, e le sale interne (perlomeno l'ingresso e la nostra) sono quanto di più neutro possiate immaginarvi. Pareti grigio tortora, alcuni quadri, nessuna suppellettile o altro ornamento. È senz'altro vero che un ambiente del genere conduce l'ospite a concentrarsi sull'esperienza culinaria, ma, anche qui, il confine tra una stanza minimal e un bunker antiatomico è labile. Essendo al piano terra su una via anonima, non ha ovviamente alcun senso aspettarsi una vista panoramica dalle finestre, chiuse da tende che a nessuno viene naturalmente in mente di aprire.

Il servizio, ça va sans dire, è impeccabile, anche se, in alcuni casi, un po' freddo e, come dire... robotico. Il copione è fisso e in sala non c'è spazio per l'improvvisazione. Non c'è spazio nemmeno per una carta dei vini, nel senso che non ci è stata offerta ed è presente sul sito. Non so a voi, ma a me inquadrare il QR code non fa molto ristorante di lusso.

Al momento del conto, uno degli innumerevoli inservienti si presenta al tavolo armato di PoS, che però in sala non prende bene e quindi costringe il personale a vari avanti e indietro verso il corridoio. Sono sicuro che la proprietà potrebbe permettersi di investire una piccola somma in un sistema wi-fi decente. All'uscita si viene omaggiati di una piccola bottiglia di aceto balsamico targata Bottura.

Ognuno tiri le somme secondo il tipo di aritmetica che preferisce.






Ristorante Bar Sport, Cisano sul Neva

Nonostante sempre più spesso capiti di ritrovarsi in locali moderni e un po' pretenziosi nascosti dietro nomi come "circolo del popolo" o "trattoria dopolavoro", in Liguria è ancora possibile -soprattutto nell'entroterra- trovare piccole macchine del tempo nascoste in un borgo come quello di Cisano sul Neva col suo Ristorante Bar Sport. Seppure la fama della buona cucina si sia ormai diffusa e la clientela ampliata di conseguenza, per il resto entrando al Bar Sport si torna indietro nel tempo in una vera "trattoria di una volta" dove è la sostanza della cucina a farla da padrona, e non l'arredamento della sala. Il breve menù è garanzia di cucina pensata e curata, ligure d'entroterra (quindi principalmente di terra), con le sue minestre, le sue paste, con poche concessioni al pesce o al massimo alle seppie in umido. Qualità, calore umano senza troppe smancerie, gran soddisfazione e prezzi sorprendentemente economici (ma come!? solo 62 euro in tre?) soprattutto grazie all'aver mantenuto su livelli onesti le voci su cui il 90% dei ristoranti ricarica pesantemente e ingiustificatamente (coperto a 1,5€, antipasti a 6, mezzo litro di vino della casa a 3,5, cima alla genovese a 6).

Parcheggio non troppo agevole ma tutto sommato non difficile se fuori stagione. Che gli dei della ristorazione mantengano in buona salute i proprietari del Ristorante Bar Sport di Cisano sul Neva.

Panta rei duepuntozero, Corbetta

Il Panta rei di Corbetta ha trovato una formula astuta che abbina pizze "gourmet" con cucina tradizionale, interpretata con cura, il tutto in un bel locale rustico ma elegante, con un'intera piazza di fronte per parcheggiare. Così facendo, si attira la clientela che normalmente sarebbe intimorita di fronte a certi piatti "ricercati" e allo stesso tempo (ma questa è una mia supposizione) si tiene alla larga la massa di aspiranti food critic cresciuti a pane e show culinari in TV, che non potrebbero sopportare la coesistenza di mondeghili e pizza tonno e cipolle nello stesso menù.

La nostra consueta visita infrasettimanale con scontrino chiuso alle 21:02 ci ha assicurato una cena tranquilla e un servizio gentile (ma non attentissimo). Anche in caso di affollamento il locale credo che risulterebbe vivibile, grazie alla saletta riservata ai tavoli per due parzialmente separata dalla sala principale.

Come detto, si coniugano pizze ben fatte, buone birre, una buona scelta di vini e cucina di qualità con alcune trovate originali senza strafare, come piace a noi, come gli gnocchi con una pennellata di cioccolato amaro, o il "pantasnack".

Consigliato. Coperto a 3€, prezzi per il resto nella norma.