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domenica 8 marzo 2015

L'osteria - Pontevecchio di Magenta

Arrivando da Magenta, sulla sinistra appena attraversato il ponte sul Naviglio Grande c'è l'Osteria, con la sua bandiera e il campanello al quale bisogna suonare, perché la porta è chiusa "per tenere fuori i marocchini" o qualcosa del genere. L'ambiente all'interno è caldo e accogliente, con due piccole sale, una adornata da un grande camino che lascia immaginare gli antichi lussi della residenza. Il patron (unica presenza in sala) vi presenterà a voce le scelte disponibili nel menù del periodo, e solitamente cercherà di assegnarvi il vino di sua scelta da un paio di mensole a vista; tutta la spiegazione è condivisa con gli altri clienti, visto che le sale sono minuscole e a meno di sussurrare non c'è granché possibilità di privacy.
Messa così, sembrerebbero solo aspetti negativi, mentre in realtà la serata si è rivelata rilassante e la cucina più che buona. I cannoli (che io avrei definito vol-au-vent) con la cipolla caramellata e il gelato alla pera hanno fatto da gustoso antipasto, che abbiamo fatto seguire da un risotto al "gorgonzola di capra" che metto tra virgolette in quanto ignoro se si tratti di una dicitura ortodossa o meno, e che comunque è stato efficacemente descritto come "non proprio gorgonzola, non proprio formaggio di capra". Non abbiamo provato i secondi (dove, come per i primi, c'era anche una scelta di pesce - una sola, per fortuna, evidentemente per soddisfare i freak che vanno a Magenta per mangiare gli scampi). Per dessert, panna cotta (senza colla di pesce - me lo ricordo perché ci è stato ripetuto cinque volte) e una super porzione di tarte tatin. Caffè e bottiglia di sambuca sul tavolo, che è uno di quei piccoli gesti di calore e, come dire, "fiducia" verso il cliente, che toglie a tutti l'imbarazzo di dare un prezzo a un bicchierino di ammazzacaffè. Se ben ricordo, c'erano tre-quattro scelte per tutte le portate, cosa che mi sembra più che sufficiente e indicazione di cucina "vera" (come anche il ripetuto racconto della triste sorte toccata al terzo dei dessert pianificati per la serata, che purtroppo non è riuscito bene e quindi non è in menù eccetera...).
Tutto sommato, una destinazione da provare di tanto in tanto, soprattutto, a mio parere, nelle fredde e umide sere dell'inverno lombardo, per un assaggio di "territorio" e di cucina ben fatta ma senza troppi fronzoli. Unica nota davvero un po' stonata, a mio parere, è la completa mancanza di un menù su cui poter almeno adocchiare i prezzi: la regolare ricevuta fiscale a fine serata elenca semplicemente "2 menù a 90 Euro totale bevande incluse" (tradotto: 45 Euro a testa); non proprio prezzi proletari (per antipasto, primo, dolce e una bottiglia di vino) e soprattutto nessun dettaglio. Ma noi siamo bauscia e mica stiamo lì a sindacare sui prezzi: custa quel ch'el custa!