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domenica 24 dicembre 2023

Due facce di Milano

Le cene aziendali sono un'occasione per confermare -gratuitamente- certi miei pregiudizi verso locali come Il Solferino, trappole per bauscia dove si sta stretti, si mangia come in mensa, e si paga uno sproposito. Locali che per chissà quale motivo attirano una clientela danarosa ma tutto sommato buzzurra che si adegua senza problemi al sistema di prenotazioni a turni che io trovo demenziale: prenotare cena alle 21:30 e dover poi persino aspettare che si liberi il tavolo. Trovate del genere una volta sarebbero state un marchio d'infamia indelebile sulla reputazione dell'oste che avesse provato a proporle, mentre invece oggi chissà perché sono la normalità nei posti dove paghi 20 euro un piatto di pasta o di nachos. L'unica spiegazione che mi so dare è che la clientela abbia più soldi da buttare e contemporaneamente si sia estremamente rincoglionita.

Al Solferino (via Castelfidardo, vicino a Porta Nuova), una volta attraversata l'angusta doppia porta all'ingresso e gli angusti passaggi tra i tavoli, ci si accomoda al proprio angusto posto dal quale osservare il resto della clientela: la contessina novantenne che mangia col cappello in testa, il tavolo di cosplayer di chiaraferragni tutte uguali col loro cappottino e la loro acconciatura, il burino sessantenne con la trentenne brasiliana ipersiliconata, le compagnie di sciure impellicciate e starnazzanti, eccetera.

Come detto, si mangia come in mensa, con risotti, cotolette, culatelli, tiramisù tutti ugualmente insignificanti, serviti con l'affabilità di un manipolo di galeotti e annaffiati da vini dai prezzi stratosferici. Però sotto Natale è tutto un risplendere di luci e addobbi -luminosissimi e sopra le righe uguali identici ad altre centinaia di locali della città- e l'allegria è obbligatoria.


Al Matarel (corso Garibaldi, Brera), invece, si fanno le cose come si deve. Anche qui il locale non è grande e si sta strettini, ma non si ha l'impressione di essere entrati in una boglia dantesca. Di addobbi natalizi non ce n'è e l'arredamento è quello semplice di un ristorante con tante decadi di lavoro sulle spalle, che hanno lentamente sedimentato le proprie memorie alle pareti, dal poster di Stalin alla foto dell'anonima starlette, alle pagine web con la recensione di chissà cosa stampate e incorniciate. Anche qui il servizio non è ridanciano, ma anche il cameriere più burbero tiene il cliente al centro dell'attenzione e gestisce con professionalità e pazienza le richieste di tutti. L'ambiente è umano e accogliente, e ci si tuffa quindi volentieri nella casöla, servita in questo caso con la polenta. Senza troppe pretese di esotismo, il menù propone tutti i classici della cucina milanese. I prezzi ormai sono lievitati ovunque, ma al Matarel non troviamo niente che faccia gridare allo scandalo come in molti altri posti. Casöla, dolci, e tre bottiglie di vino in sei, e si finisce sui 65 euro a testa. Viva la cucina milanese, viva il Matarel, viva i camerieri burberi.

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